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L'amore sbocciava sul lenzuolo


Le immagini di un film scorrono senza audio su un lenzuolo steso che funge da cinema improvvisato nel parco. Nessuno sta prestando attenzione al film, è un sottofondo. A vincere la battaglia per l’attenzione completa della gente sono i pacchetti di tabacco, gli unici in grado di fermare il multitasking imperante. Hanno sconfitto anche i rivali più temuti, i telefonini col cervello, diventati già degli amici con benefit, quelli che ti porti a letto senza impegno, quando vuoi. Ho evitato il termine tecnico italiano perché non vogliamo essere volgari e poi non sono sicura che il vocabolo trombamici lo capiscano dalle Alpi alle piramidi. Stessa cosa, i telefonini arguti: sono a portata di mano, si lasciano toccare moltissimo, a volte anche un po’ danneggiare e sbattere, ma sempre mentre l’umano sta facendo qualcos’altro: viaggia in metro, (finge di) studiare, pranza, si lava i denti, usa il bagno a seconda delle necessità, bacia la
ragazza - ho assistito a una scena del genere in prima persona e il telefono sembrava geloso -, lava i vetri, commette un furto - devi aspettare che i signori Liquori escano di casa, una partita a dolcecandyball non te la fai? -, finge di leggere un libro di carta per cuccare ai giardini, scrive una storia sulla gente che non ha più concentrazione - Ehm, chiedo venia, era un messaggio importante. Su Twitter, sì. Come dite? Ah, non usano più i messaggi su Twitter. (I mazzi vostri mai, eh?) Grazie, la prossima volta uso un’altra scusa.
Nel film sul lenzuolo la magia si sta compiendo, del tutto ignorata dal pubblico. L’innamoramento, che altro ci è rimasto di inspiegabile e di immune agli anti-dolorifici e al Topexan. Eppure una resistenza c’è, ne ho avuto le prove. Ora vi racconterò una storia che sembra adatta al contesto ma che è in realtà c’entra un beneamato.

L’unica cosa veramente romantica che ho visto questa settimana sono stati due ragazzi che senza saperlo si stavano disegnando a vicenda in caffetteria. Quando lei abbassava gli occhi sul foglio lui sbirciava le sue fattezze, un occhio al foglio dove con cura reinterpretava a modo suo la bellezza della coetanea. Appena era lui a reimmergersi nel disegno ecco che l’ignara modella si metteva a studiare l’altro artista, a rapirne tratti insoliti di un volto bello, ma strano. I sorrisi che l’uno e l’altra confidavano al foglio smascheravano i primordi di una cotta.
Una casualità che ha mosso anche il mio animo indurito dai cartoni animati drammatici facendomi sognare per loro un futuro di giornate  trascorse a disegnarsi a vicenda in una baracca di legno nel bosco, senza mai posare il pennino nemmeno mentre si fanno le flessioni addosso.
Tra la musica italiana dei locali di Budapest e la polvere dei lavori in corso che sempre si fanno ad agosto per tenere compagnia a chi fa l’estate in città, sboccia ancora l’amore. Che bello.
Mi sono alzata per andare a prendere dell’acqua - un mero pretesto per farmi i fatti altrui -  e sbircio il disegno di entrambi. Sono seduti abbastanza vicino, ai tavolini lungo il muro. Il disegno di lui raffigura la mutazione di un ragno gigante in un mostro che sembra composto di palazzi di mattoni. Lei sta apponendo le rifiniture a una raffigurazione in chiave moderna di Santa Caterina da Siena o almeno questo pare a me.
Il lato positivo è stato che, svanito il quadretto da “Natale in casa Shrek”, mi è passata l’orticaria.

Nel film sul lenzuolo, almeno lì, si baciano. Lui, mi sa, ha la gomma in bocca e la cosa dà abbastanza fastidio, ma nessuno se ne avvede. L’attrice sì o forse no, dipende se da quando prendono sul serio la scena; se mettono la lingua o no, in altre parole. Il film sul lenzuolo non è un capolavoro. Per dirvela tutta si fa davvero fatica a guardarlo, ma c’è, è lì e sono stati spesi diversi ettari di dollari (se li contiamo distribuiti su una superficie piana, in banconote di piccolo taglio) e qualcuno l’ha scritto, disegnato, recitato e quant’altro. Per cui gli devo un poco della mia attenzione.
Lo schema narrativo è quello che sembra andare per la maggiore. Lui incontra lei, capisce che lei ci sta, escono insieme e lei lo porta sul palazzo più alto della città cui ha accesso per motivi misteriosi. “E’ il mio posto preferito” spiega.
Dal palazzo si vede un panorama magnifico fatto di sole luci, l’unica cosa che si vede in una città gigantesca al buio.
“Stai veramente guardando il film?” chiede un tizio che dagli occhi si è fumato pure la sedia a dondolo di sua nonna e che per le qualità appena descritte fa parte della schiera dei miei amici da passeggio.
“Sì, lo so che non si usa.”
“Credo che alla fine siamo tutti liberi di reagire come ci pare a roba tipo i film.”
“Alla cultura e quelle cose là dici? Sì, non hai tutti i torti.” Solo quello di non capire una costola di beneamato sedano, ma ci vai bene lo stesso.
“Questa me la chiami cultura?” replica con sorprendente prontezza.
“Di nuovo, non hai tutti i torti” gli concedo.
Osservo meglio l’avvicendarsi delle lingue sullo schermo. La città dovrebbe essere New York, ma forse hanno girato il film altrove o usato un lenzuolo dipinto, perché i palazzi sono tutti indistinti. Il fatto che sia buio nel film e che io stia guardando il film su un lenzuolo non aiuta. Sono abbastanza sicura di aver visto un passaggio identico in almeno altri cinque(mila) film, ma forse sono di più. Deduco che un gran numero di donne ha accesso ad almeno un palazzo nella città piena di luci dove risiedono, abitazione esclusa.
“Secondo te è una cosa solo americana questa?” chiedo a Rottame, il mio amico.
Rottame non lo sa, non si ricorda di cosa sto parlando e mi offre una birra. Valeriana, un’altra amica energica come l’erba omonima, sta scattando una foto per raccontare a tutto il mondo che se la sta spassando e Budapest è proprio un posto ganzo. Il fatto è che non sono più neanche convinta che sia inutile, solo fastidioso e abbastanza triste, tutto questo condividere in tempo reale. Finché li fa sentire meglio, alzo le spalle. 
“Vedrai che lo fanno anche nel cinema italiano…” mi giro a guardare Rottame, stupita da questo inatteso guizzo di attività.
“Roba tipo i film di Molfetta” aggiunge.
“Molfetta è una città. Vuoi dire lo scrittore, Moccia?
Rottame è tornato alla sua profonda attività di contemplazione delle foglie sparse davanti ai suoi piedi sul marciapiede del parco. 
“Hai ragione - ma cosa glielo dico a fare - “Tre metri sopra il cielo”. Dal titolo sembra suggerire un bacio su un bel palazzone di venti piani. Più alto non penso, era ambientato a Roma. Potevano girarlo a Milano. L’amore sul grattacielo Pirelli, che delizia.”
Sono curiosa di sapere se ci sono dei film ungheresi con questa stessa formula magica. Trame bellissime in cui la ragazza vestita da motociclista porta suo nuovo giocattolo  sulla terrazza del Westend (il centro commerciale) a guardare i treni scassati della MÁV fermi nel deposito della stazione e quelli veloci nuovi fiammanti che arrivano e ripartono con la tipica flemma delle stazioni di testa. La protagonista dice che quella terrazza le piace tanto: è il suo posto preferito. In quel terrazzo di cemento può appartarsi anche durante la pausa pranzo, visto che il call center dove lavora per mantenersi gli studi è proprio lì accanto e perché è talmente squallido che non ci va nessuno.”
“Ci sono stato ieri, era pieno di gente.” fa Rottame, che ancora riesce ad ascoltare nonostante si sia appena fumato una siepe di ginepro completa di bacche. 
“Capisco quelli come te che si devono sempre nascondere, ma la gente…normale, perché dovrebbe andare su un giardino pensile senza erba e fiori sul tetto di un centro commerciale? In una città piena di bei posti?”
Rottame se ne esce con una delle sue massime sull’umanità che puntano dritte al centro del bersaglio: “All’uomo piace nuotare nello squallore. Con la rivoluzione industriale abbiamo ridisegnato il mondo a nostro piacimento, cemento e ciminiere.”
Annuso il preludio di un mattone sul consumismo e i mali del mondo moderno, smetto di ascoltare, lascio scorrere, tanto sono d’accordo ma non riesco a farci niente.
“Alla fine la gente va da Stellabucks” commento in mezzo al discorso, certa che sia un intervento appropriato. 
Rottame annuisce con aria greve e si accanisce sulle multinazionali, pulendosi la bocca di tanto in tanto.

Il mondo è proprio un bel posto, peccato che.

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